Accedi :: Registrati
Benvenuto        Area utente :: Esci







Vorrei dirvi due parole
E’ tempo di fantasia
Ieri domani lo sport
Oggi rispondo io
Splendeat lux
Cultura
Satira
Giovani




Trinacria News

del lavoro ed accenni alla sua concezione tradizionale di enzo li mandri

25/03/2010

come cercare di trattare filosoficamente un'utopia
il testo in pdf
del lavoro ed accenni alla sua concezione tradizionale
di enzo li mandri

Ci sono tre equazioni su cui si basa ormai la vita della quasi totalità degli uomini; tre equazioni di cui una primaria e due conseguenti. La prima è “Lavoro = Denaro”, le altre due conseguenti sono “molto lavoro/poco denaro = male” e “poco lavoro/molto denaro = bene”. Non parlo di concetti astrusi, credo che fin qui chiunque mi possa seguire senza difficoltà. Ciò posto, oltre le tre equazioni suddette sembra non esistere altro.

La mattina ogni persona per bene si alza spinto dalla molla della prima e cerca di realizzare qualcosa che si avvicina il più possibile alla terza; se questo succede dovrebbe essere contento, se succede il contrario dovrebbe essere scontento. Eppure non sempre è così, anzi oserei dire quasi mai. Spesso chi riesce ad accumulare molti beni si lamenta delle preoccupazioni che gli creano, dove invece chi ha poco, pur potendo vivere dignitosamente, si rode dall’invidia. Il risultato è una situazione di malessere generalizzato che ha portato più di un libero pensatore a definire la nostra società “malata” o addirittura “moribonda” rispetto ad altre, emergenti, new entry di questo gioco al massacro.

Perché lo definisco massacro? Perché il termine competizione, legato ai giochi di Olimpia che servivano a trovare un momento di dialogo tra i popoli tutti al di là delle contese e degli interessi personali, in questo frangente in cui ognuno considera chiunque altro, compreso l’amico con cui lavora, un avversario da distruggere con le armi della furbizia e del tradimento, allo scopo di fare più soldi lavorando meno, non è adeguato. E però la regola si combina con la morale del tempo nella quale trova ogni giustificazione possibile. Ma la morale del tempo non cambia le leggi di Natura e le reazioni di quest’ultima non mancano di farsi notare, e per quanto si cerchi di giustificare certi risultati con la “pezza” della società “malata e moribonda” senz’altra ragione, come se fosse fisiologico che questa società è malata perché è vecchia ed altra è sana perché giovane, forse le ragioni sono da cercare altrove.

Innanzi tutto, non la si voglia considerare una spocchia, ma che questa “società” malamente identificata come “occidentale” sia diventata “vecchia” solo nell’ultimo scorcio del secolo scorso mi pare pretestuoso, e che altre (ma quali e come definirle? Orientale? Asiatica?) appena uscite da un percorso solidamente tradizionale, senza probabilmente avere con la Tradizione rotto i ponti in maniera catastrofica a causa di un malinteso “razionalismo” assurto ad unica regola di vita, siano “giovani” e “sane” mi sembra un’idea folle e fatalista.

Un albero cui si tronchino i capillari radicali superficiali, per una regolare e primaverile operazione di rivangatura della terra per arieggiarla, li ricostituisce come i capelli, accorciati con un colpo di forbice, ricrescono. Un albero, sano e bello, cui venga troncato il fittone radicale e le radici primarie, perde solidità e nutrimento, deperisce, e muore, a prescindere dall’età. La nostra società ha radici antiche, oggi dovunque rinnegate, o sostituite da abitudini e costumi popolari che ne sono al più una rappresentazione volgare. Altre società non hanno fatto questo errore e, qualora lo facessero subirebbero la stessa sorte.

Le radici di un popolo sono la sua Tradizione, e nella Tradizione è la regola che da solidità e il suo nutrimento. Puoi rivangare il terreno, sfoltirne i rami, non ucciderla! Ucciderla è come uccidere se stessi e disconoscere la sua realtà, e quindi disconoscerla e disattenderla, vuol dire ucciderla. È quello che abbiamo fatto noi con la nostra Tradizione: l’abbiamo rinnegata e la deridiamo ogni giorno, uccidendola e suicidandoci. Sarà duro dirselo e accettarlo, ma è così.

E torniamo alle tre equazioni di cui sopra e ai due elementi che la compongono: lavoro e salario. Tradizionalmente le cose stanno un po’ diversamente da come le abbiamo viste fin ora, e, data la premessa invito le persone non abituate a tranciare giudizi e definizioni a priori a seguirmi, e a ragionarci su. Per tutti quelli che “sanno tutto” ogni discorso è vano, ma per gli uomini di dubbio e di buona volontà, per i quali la vita è sempre una ricerca del vero e del bello, che appena sentano dentro la passione per il lavoro al di là del compenso, forse le mie parole possono aprire una breccia nel muro di ostilità sociale che si è cementata contro il valore del lavoro in quanto tale. Allora consentitemi di dirvi cosa penso in merito proprio all’argomento lavoro, ed un accenno al suo valore “tradizionale”. Non dirò qui del suo valore “esoterico”, che pure esiste, ed è potente tanto da essere avvertito da chiunque appena ci faccia attenzione.

Ci sono delle considerazioni che sembrano scontate solo perché l’abitudine ce le fa sembrare tali, ma l’abitudine, a volte, non è amica del giusto quanto sembra, con la conseguenza che ci fa tirare conclusioni, affrettate quanto approssimative, al limite dell’errore più marchiano. Una di queste macroscopiche cantonate riguarda il lavoro. Si diceva un tempo che il lavoro nobilitasse l’uomo e lo distinguesse dalla bestia; di questa frase ci si è fatti beffe, da un certo momento storico in poi, grazie ad un razionalismo spinto che ha fatto a pezzi ogni ideale e ogni sano principio. Non intendo aprire una disputa sui valori e su i guasti del razionalismo ai limiti del parossismo, qui ed ora, ma sul lavoro qualcosa occorre che si dica.

Il lavoro nasce con l’uomo, e la sua voglia di migliorare la sua condizione di vita lo spinge a modificare l’ambiente che lo circonda per renderlo più accogliente; si ingegna a migliorare il suo riparo, si applica affinché la terra gli renda ciò che lo alimenta, costruisce strade e strutture per migliorare viaggi di commercio, modella le materie prime per ottenere manufatti, percepisce nel contempo la potenza nascosta nella sua creatività … in una parola: lavora, e il lavoro ha un valore nel senso del beneficio che porta, quantizzabile, nell’epoca della moneta, in un salario che consenta di vivere e di migliorare il proprio stato. Su questo credo non ci siano particolari discorsi da fare. E però viene da chiedersi: ma in cosa allora il lavoro nobilita l’uomo?

In un’epoca in cui la aristocrazia di fatto non esiste più, come non esistono più i valori, questa frase non poteva che suonare “stonata”, e per lo meno “idiota” chi la pronunziò. Caso chiuso? Sembrerebbe di sì, anche se la sempre maggiore ricerca di valori nella gente più comune e il consumismo esagerato lasciano adito a qualche interrogativo. La risposta comune a questo fenomeno è che “la gente non ragiona” … ma a ben vedere la percentuale è tale da non poter essere giustificata sul piano dell’anomalia, bensì rivela una carenza che valori rabberciati e consumismo tendono a colmare invano.

Non mi invento nulla allora se citando appena i nostri nonni ricordo che il lavoro aveva anche il valore di migliorare l’uomo (nobilitarlo dunque in questo senso) perché spingendolo a elaborare la materia elaborava se stesso e lo aiutava ad inserirsi nel tessuto sociale dirozzandone i modi, e, guarda caso, anche la moderna scienza della psicanalisi ha riscoperto e rivalutato il valore terapeutico del lavoro. Il lavoro quindi, per i nostri nonni, legati e rispettosi della Tradizione, aveva il valore di fare crescere mentalmente e socialmente un uomo, e questo automaticamente gli portava i suoi “frutti”.

Oggi però questa idea non esiste più. Il lavoro è solo il mezzo per incassare il salario e, di conseguenza, l’obiettivo diventa quello di rivalutarne la sua prerogativa alla massima potenza, riducendolo al minimo, a costo magari di farlo fare ad altri, al pari di un sempre più cospicuo incasso. Cioè il lavoro, scusate se mi ripeto ma per chi conosce il valore del lavoro questa affermazione è pura follia, è solo uno strumento per fare soldi e i soldi, di conseguenza, sono solo uno strumento per acquistare roba, spesso assolutamente inutile, alla faccia di chi non ce li ha. Per molti è una furbata, ma per coloro che apprezzano le cose ben fatte nella loro bellezza è una idiozia. Una statistica corretta di chi, tra le due categorie assume più farmaci per dormire, non lascerebbe dubbio alcuno.

Chi scrive ha degli interlocutori e dei detrattori per ovvie ragioni di schieramento al di là del buon senso, e questo è grave, perché dovrebbe prevalere il buon senso e l’analisi della situazione prima di tranciare torti e ragioni, ma nella vita il lavoro più pesante, per assurdo che possa sembrare, per certi uomini è proprio il lavoro del pensare. Per certi ma non per tutti! Molti sono quelli che cercano e che, pur essendo contro corrente, amano il lavoro al di là del compenso, pur giusto, del loro fare; molti che pure, messi alle strette dalla corrente idiozia, si sentono degli stupidi e degli esclusi. Il rischio è che si pentano d’esser giusti e tradiscano, e il compito dell’uomo di buona volontà sta nel sorreggerne le attitudini, in vero sane, affinché continuino ad amare il loro lavoro e a dedicarsi con attenzione ed amore del bello … perché un lavoro ben fatto è “bello” e nella bellezza sta il suo compenso, il suo salario spirituale; un salario che prima o poi accenderà la luce nello spirito di chi lavora con passione e spedirà nello studio di uno psicanalista chi invece col passare degli anni vedrà scivolare dalle dita una vita inutile. Mi dite che c’è gente che non se ne accorge? Che insegue il denaro ed è felice? E voi? Perché non siete come loro? Perché non ci riuscite? Il segreto ve lo svelo io, perché è un segreto di Pulcinella: non sapete essere profondamente egoisti, non sapete vivere sul lavoro degli altri, non sapete sfruttare il prossimo … bene! adesso che sapete o cambiate in tal senso o vi decidete ad essere voi stessi, aristocraticamente parlando, degli uomini!

Mi godevo, appena qualche sera fa, l’ultimo raggio di sole al tramonto, dopo una giornata di lavoro nella vigna, seduto su una vecchia panca davanti la porta quando un’ombra prima, e un vecchio contadino poi, mi si è parato davanti per salutarmi con uno sguardo triste: gli chiedo come sta e mi risponde che è triste perché non riesce più a finire il suo lavoro per la stanchezza degli anni; i figli vivono in paese, gestiscono i due bar della piazza e in campagna non ci vengono più … poi volta gli occhi altrove … lo invito a sedere e rifiuta … la figlia lo aspetta per cena e per lui anche questo è un dovere morale da rispettare: lui va per dare, non per ricevere, in un mondo che sempre più va per ricevere, e non per dare. Dove sta il giusto?

Io non ho mai avuto dubbi; amo il mio lavoro e sono pago dei risultati, nulla togliendo al salario che serve a sostentarsi e a vivere; salario che non ho mai disprezzato, mentre credo che lo disprezzino tutti coloro che dei soldi fanno solo mostra come fatui esibizionisti del piacere. Abbiamo parlato del lavoro e di quanto, io credo, abbia valore per un uomo che voglia essere davvero un uomo … parleremo del salario, importante anch’esso e, in quanto frutto del lavoro, sacro, un’altra volta.

Questi discorsi sono purtroppo solo per coloro che, amando il lavoro istintivamente, si sentono a disagio in una civiltà affamata di denaro, e per quelli che volessero pensarci un po’ su’ … non spero ovviamente di far breccia in quelli che sono alla ricerca forsennata dei soldi e se ne fregano del divino; non tento neanche di convincerli, anche perché, checché se ne dica, solo pochi di loro riescono ad essere sufficientemente egoisti da riuscire davvero, mentre molti sbavano (potrei essere più volgare) appresso ai pochi, e comunque tutti finiranno con il diventare, per loro libera scelta, ciò che hanno amato, cioè merce di scambio, per una imprescindibile legge di natura che, come ben recita il Santo, neanche Iddio può contraddire.

L’affermazione :”Siate semplici come i fanciulli e umili come i lavoratori della terra se volete essere degni del Regno dei Cieli” e il fatto che per molti il Regno dei Cieli sia una baggianata, non vuol dire che lo sia per tutti, o che, per questo, non esista, per l’uomo divenuto tale, una dimensione “altra” che ammanti il suo essere figlio degli dei.

E infine: tutti, e dico “tutti”, coloro che amano il lavoro sentono di appartenere ad una famiglia dove ci si rispetta, ci si comprende e ci si ama; tutti, e dico “tutti”, quelli che amano il denaro fine a se stesso, sono in competizione tra loro e si odiano e si detestano; tra queste due sponde sta una folta legione di indecisi che si lasciano trascinare un po’ di qua un po’ di là fino a quando, scoperta la differenza, scelgono e si omologano.

Alla fine quindi verranno distribuiti premi per i buoni lavoratori e castighi per i cattivi mercenari? No! Niente buoni e cattivi! Ciascuno raccoglie ciò che semina, i primi l’armonia di un’opera ben fatta, i secondi il peso della moneta accumulata … più democratici di così non si può essere!

Ho accennato appena ad alcuni tratti del valore tradizionale del lavoro, e ad alcune delle ragioni che lo distinguono dalla semplice ricerca del salario. Ho detto che in altra occasione avrei parlato del salario, e lo farò. Ho detto che non avrei parlato qui del valore esoterico, che pure esiste, del lavoro, e l’ho fatto. Ho menzionato la Tradizione e il suo valore di indispensabile supporto per chi voglia farsi uomo. Non ho aperto nessuna diatriba nei confronti del Razionalismo, convinto come sono che ogni pensiero è un “valore” ed ogni eccesso una “aberrazione”. Non ho aperto né aprirò vertenza alcuna nei confronti degli amanti della moneta fine a se stessa perché così facendo, anche ammesso che potessi sperare di ottenere dei risultati, toglierei cibo ai vermi della terra, infrangendo una legge di Natura, che, in quanto tale, è sacra. Conto molto su i giovani che oggi sentono forte la spinta alla ricerca dell’Arte e del Bello perché istintivamente hanno capito il valore del lavoro. Conto molto sugli anziani che “ricordano” affinché non si chiudano nei loro ricordi ma diventino la guida intelligente dei nostri giovani. Conto molto su tutti coloro che non sono schiavi ma rispettosi osservatori del pensiero altrui. Sono certo di poter contare sempre su tutti coloro che non hanno mai smesso di sognare e di credere in una vita migliore. Di chi ha smesso di sognare e del loro “dio moneta” abbiamo detto, fin qui, anche troppo.

associazione Alessandro Tasca Filangeri di Cutò
via Mariano Stabile, 70 - tel 091.336558 / 335.8305176 - c.f. 97217430822