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PASQUA DI MORTE E RESURREZIONE

20/04/2014 - “ … e come si potrebbe altrimenti?”
 
Avevo scelto, per meditare, i pioppi del Cimitero di Monreale, sulla vecchia strada per Pioppo, appena fuori bandita, sulla sinistra scoscesa, in una giornata tranquilla, senza chiasso né gente, senza ricordi né memorie inquietanti, lasciando fluire il respiro non solo dal petto, ma da tutto il corpo, come se volessi avvolgere quegli alberi e ne desiderassi l’abbraccio. Una capra sfuggita al pastore mi si parò di fronte, disturbata, nel suo pasto frugale, dai miei passi, poi zampettò via velocemente. Già! Come si potrebbe altrimenti? Come risorgere senza morire? Era un dilemma che aveva tenuto occupate le menti più eccelse degli studiosi degli ultimi 5000 anni, dai Filosofi ai figli di Esculapio, senza che una risposta chiara fosse stata sancita. Prima, pare, banali giochi da milite, oggi ancora in voga in alcune caserme, facevano da innocente trampolino, pericoloso quanto divertente, oggi Scienza e Religione fanno a gara per appiccicarsi l’un l’altra l’epiteto di blasfema. Anche per me certo il problema si presentava insolubile, e al di là del Mistero, ma quel giorno il pensiero era altrove. Un vecchio libro aveva, con una interpretazione inusuale della Creazione, suscitato in me una diversa visuale della Pietra e ne cercavo il senso nel luogo dove essa era più presente: il Cimitero. Ovvio che mi tornasse alla mente il trittico dei giorni sacri legati alla Pasqua di Resurrezione, ovvio che Passione, Morte e Resurrezione viaggiassero davanti ai miei occhi in un fluire indissolubile di simboli, ovvio che la giustificazione giudea dei tre giorni raccolti tra la notte del venerdì e la mezzanotte della domenica, secondo un pretestuoso calendario romano, mi lasciavano freddo, ovvio che le dodici poste a carico del corpo martoriato, e la deposizione tra gli elementi congiunti, nel punto di massima concretizzazione, e l’interruzione del ritmo, determinante lo scorrere del fluido vitale, chiamalo spirito, significava Pietra e solo Pietra, e la Resurrezione, del Corpo, ancora Pietra, vilipesa, frantumata e ricomposta. Ma perché? Perché tanto interesse, tanto valore alla Pietra quando essa è solo un istante, figlia del dubbio e del piacere? Perché tanto affanno a castigarla per poi riabilitarla? Non basterebbe distruggerla? Polverizzarla? Esiliarla dallo Spirito glorioso? E perché è il venerdì, giorno dedicato a Venere, come il suo colore, il viola, ad essere egli stesso il giorno e il colore della penitenza, che castiga lo stesso corpo che altrove, Venere, magica dea della carne, come ben evidenzia il Piobb, esalta? E perché l’umile agnello è giustiziato e salvato, la Domenica di Pasqua, dalla croce che fa bella mostra tra le sue scapole? È suo il sangue che segnò le porte dei figli di Israele? È suo il sangue dei sacrifici a Babilonia? L’aria era ferma! L’inutilità eppure la onnipresenza del corpo, della materia, della Pietra, mi stordiva la mente. Morte e Resurrezione! Ma di cosa se non della carne, della Pietra? Verbum Caro Factum Est! Chiedevo lume a quelle pietra silenziose, mentre la capretta, constatata la mia assoluta indifferenza alla sua presenza, si era rimessa a brucare poco lontano. Lo Spirito non muore, dicevo tra me, la Carne sì! Ha necessità di morire per trasformarsi, rinnovarsi, ma perché? E perché poi portarsela dietro, oltre la morte, come un inutile fardello? La capretta era scomparsa, il silenzio totale, la memoria rievocava vallate colme di agrumi dove ora sorgevano case e famiglie, l’Umanità si spandeva a macchia d’olio sulla Terra, come un terremoto di stelle partorite da un colpo di bombarda, seguendo la stessa logica dello sviluppo di una galassia, e dello stesso Universo, perché? Chi sa non si stupisce se ricordo che l’oro, che impreziosisce i monili delle nostre donne, è un minerale che ha raggiunto il massimo stadio della sua materializzazione, quindi è un minerale “morto”, e, a differenza del meno prezioso e lunare argento, egli rappresenta il Sole. Per il Villanova, certo, il percorso è corretto, visto che, per ottenere dal vil metallo l’oro, bisogna lavorarlo secondo regole e passaggi che sembrano uguali a quanto dianzi annoverato, e se è vero, e parzialmente lo è, che tale oro alchemico rappresenta l’uomo, cosa ne devo pensare della sua “vita”? l’uomo, da secoli, crede nella resurrezione in forza di una legge di Natura che porta gli alberi, in primavera, a rifiorire dopo che il triste inverno li ha resi simili a degli stecchi senza vita, ma in cuor suo trema di fronte al grande freddo della Morte, perché? Questo lo sanno tutti: perché teme di non tornare! Di dissolversi nello spazio privo di identità, di non riconoscersi più! Di tornare fluido indifferenziato! E se pure fosse? Cosa lo lega così radicalmente alla sua identità? La capretta mi guardava incuriosita da dietro un cespuglio; anche lei avrebbe difeso la propria vita, la propria identità ad ogni costo, ma non si chiedeva il perché, io sì! Presi fiato, Prometeo ci rimetteva perennemente il fegato, è vero, ma aveva conquistato l’immortalità, ed aveva donato agli uomini il Fuoco sacro agli Dei, ed il Fuoco non è la Luce, ma non è da meno, anzi, se di Vita si parla, è essenziale proprio lui, il Fuoco, che brucia, distrugge e rinnova. Ero ad un punto morto con la sensazione, insieme, che la risposta fosse a portata di mano. Morte, resurrezione, Sole, Luna, Fuoco, Luce, individualità, Materia, Pietra, Vita. La capretta mi passò davanti indifferente, aveva delle piccole protuberanze sulla fronte, non ancora ben calcificate, e nessuna croce sul groppone. Lontani ormai, da qualunque immaginario, gli idoli templari, chiunque in lei avrebbe visto solo ciò che era: una innocente capretta. Mi rimisi in cammino, verso il cancello, per andare via, grato ai luoghi del silenzio, quando mi sovvenne l’eco di un augurio che, pure, mal mi suonava: “Buona Pasqua di Luce!” ma la Luce la si festeggia al Solstizio, al terzo giorno, quando torna salda e vittoriosa sulle tenebre, per l’equinozio è altra cosa! È il percorso che conta, non il risultato, è il come, non il cosa! Mi volsi indietro a snocciolare le dodici Poste, ad una ad una, e l’agonia, e la dissoluzione della Morte, fino al contatto con la fredda Pietra (XXI), che rivoltai lasciando che fluissero dalle saccocce le monete, oro e argento, della mia vita; che mi interessasse o no riacquistare la mia individualità, probabilmente ciò faceva parte di un Disegno su cui io avevo solo in minima parte il diritto di decidere, e però potevo, forse dovevo, partecipare; quindi presi una tavoletta di legno di acacia, ben levigata, e la cosparsi di cera vergine, poi con una bacchetta di fico tracciai la prima linea del disegno e Te la passai perché Tu tracciassi la seconda, Mio Dio, solo alla fine, e chissà quando, la bacchetta di Fico, ruotata velocemente (ma quanto?) sulla Acacia, avrebbe generato il Fuoco e fissato la Legge nei nostri cuori, per sempre. Sia reso Grazie a Dio! ciò che Egli concretizza non dissolva l’Uomo. La Pasqua non è la fuga esorcistica dalla morte, in una malintesa resurrezione, come una luce in fondo ad un tunnel, ma il mistero stesso della Vita, che l’uomo non può, non deve forse, conoscere prima di aver conosciuto, e fatta sua, la Luce, alla fine di un percorso, lungo di sacrifici e rinunce, cadute e ricominciamenti. Le lacrime scendevano copiose, sulle mie guance, nascoste dalla celata dell’elmo, per fortuna, e come sempre, abbassata. 


associazione Alessandro Tasca Filangeri di Cutò
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