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Trinacria News

Un articolo di Franco Cardini sulla Cultura

04/06/2010 - .... laddove la Cultura vuol dire soprattutto qualità e rispetto della vita
La fantasy, la politica, la mistificazione
di Franco Cardini

fonte franco cardini.it


Se in questi tempi così tristi (il massacro dei pacifisti al largo di Gaza,
i tagli governativi alla cultura…) avessi voglia di ridere, la polemica
scatenata da un articolo di Loredana Lipperini su “Repubblica” a proposito
dell’opera letteraria di Tolkien avrebbe sul mio umore un benefico effetto.
A Modena si tiene un convegno su “Tolkien e la filosofia”: e la giornalista
coglie l’occasione per lamentare il fatto che per troppo tempo la “sinistra”
abbia lasciato alla “destra” un equivoco monopolio sul grande autore di
heroic fantasy, per ribadire il giudizio sull’inconsistenza della “cultura
di destra” e per chiedere che finalmente si faccia giustizia e si
restituisca il filologo e romanziere cattolico inglese all’àmbito culturale
cui egli naturalmente e di diritto appartiene. Ch’è, ovviamente, quello
della “sinistra”.

Verrebbe voglia di farci sopra due risate, dicevo. Ma in realtà par di
sognare. E’ davvero mai possibile che, dopo tutto quel ch’è successo nel
circa quarantennio trascorso tra l’approdo in Italia del capolavoro di
Tolkien, Il signore degli anelli, si torni adesso a parlare di certi temi
alla luce d’uno schema non solo manicheo, ma francamente frusto e
irriproponibile come quello della contrapposizione “destra”-“sinistra”? Già
allora, negli Anni Settanta, l’opposizione a quel groviglio di luoghi comuni
era forte e diffusa: oggi, si rischia perfino – leggendo certi articoli – di
non riuscir più a capire di che cosa si stia parlando. L’articolista di
“Repubblica” sembra uscita da un lungo periodo d’ibernazione: e ci ripropone
così, papale e papale, la vecchia massima vittoriniana e togliattiana, “La
destra non ha cultura”, dalla quale discende l’assioma “ergo, se qualcosa ha
a che fare con la cultura, non può essere di destra”.

Non siamo più nemmeno al ridicolo. Siamo all’inqualificabile. A parte il
fatto che, dalla metà almeno dell’Ottocento ad oggi, ci sono stati molti
tipi di “destra” e di “sinistra” e molti modi di aderire all’uno o all’altro
dei tutt’altro che monolitici schieramenti, sappiamo bene ad esempio che
dalla fine del XIX secolo il sorgere impetuoso della questione sociale e le
fratture che tutto ciò ha prodotto in quella ch’era stata la “grande
cultura” borghese e liberale dell’Ottocento ha avuto come effetto un
mischiarsi e un modificarsi di valori che, fino ad allora, potevano essere
ascritti con una certa chiarezza a questa o a quella parte politica. Dopo
gli studi del Nolte, del Mosse, del de Felice e dello Sternhell, ad esempio,
non possiamo più qualificare semplicisticamente il fascismo come una realtà
politica “di destra”; così come riesce impossibile definire all’interno
della polarizzazione destra-sinistra il fenomeno del totalitarismo e
disperante collocare dall’una o dall’altra parte personaggi di vertice della
nostra cultura come Nietzsche, Pound, Céline o Pasolini. E che cosa
replicare a un esponente tra i più qualificati e raffinati della cultura e
della politica “di sinistra”, Massimo Cacciari, il quale con candida
fermezza afferma che “la grande cultura europea è sempre stata di destra”?

Per John Ronald Reuel Tolkien le cose sono chiarissime. Cattolico, membro
del gruppo degli Oxford Christians esponente del quale era anche Clive
Staples Lewis, filologo e medievista di fama internazionale, Tolkien non
nascose mai la sua profonda adesione ai valori tradizionali della sua fede e
della sua terra e la sua diffidenza, per non dir avversione, nei confronti
degli aspetti più ambigui e più allarmanti della Modernità: lo sfrenato
individualismo, il culto indiscriminato del progresso, lo scientismo
materialistico, il culto del danaro e del profitto, la volontà di eliminare
qualunque forma di sacralità dalla vita civile. Il signore degli anelliè
appunto, tradotto nei termini geniali di un romanzo che riprende toni e
moduli dalle saghe celtiche e scandinave e dal romanzo cavalleresco, il
racconto di una civiltà in pericolo in quanto minacciata dalla Volontà di
Potenza di un “Oscuro Signore” che con la violenza e la corruzione vuole
soggiogare una composita realtà di esseri viventi e intelligenti (uomini, ma
anche i “mezzi-uomini” hobbit, e ancora elfi, nani, mostruosi ibridi
umano-ferini) promettendo loro la condivisione del suo potere e rendendoli
schiavi. Qualcuno ha voluto scorgere nell’allegoria tolkieniana una condanna
del totalitarismo, in particolare del nazionalsocialismo e del comunismo, ma
tale lettura è forse riduttiva e poco precisa. L’obiettivo polemico dello
scrittore è la debolezza umana, il fascino del potere inteso nemmeno più
come mezzo bensì come autentico e unico fine in se stesso: e per questo il
piccolo hobbit che decide di caricar su di sé il peso dell’Anello che
imprigiona la volontà umana e distruggerlo è una figura cristica; e tutto il
romanzo risulta essere quasi un rovesciamento della “cerca del Graal”, dove
l’obiettivo non è conquistare un oggetto di arcana sacralità bensì disfarsi
di un pericolo e di una tentazione.

Al suo apparire in Inghilterra e negli Stati Uniti, a metà Anni Cinquanta,
Il signore degli anelli straripò sui giovani di allora conquistandoli, una
generazione che stava cominciando a ribellarsi ai miti del progresso e del
profitto, che non si accontentava più delle prospettive di carriera
personale e della rispettabilità conformistica, che cominciava a gettare uno
sguardo inquieto sulle ingiustizie del mondo, trovò in quel romanzo
fantaeroico la sua Bibbia. Tolkien divenne il guru dei ragazzi del Flower
Power e dell’Easy Rider, di quelli che si opponevano alla guerra in Vietnam
e che sognavano sul magic bus di Kabul.

Con apparente paradosso, in Italia quelle voci di protesta e quelle istanze
di rinnovamento degli orizzonti dei giovani non furono accolte dalla
“sinistra” ufficiale, che tra Anni Sessanta e Settanta monopolizzava e
regolava la vita culturale, bensì da “opposte” frange di sinistra e di
destra. Ma, se la sinistra radicale aveva i suoi idoli nel Vietnam, in Cuba
e nel “Che” Guevara, Tolkien divenne invece la bandiera di una esigua ma
interessante pattuglia di destra, che ispirandosi soprattutto al pensiero
antitotalitario e comunitarista della Nouvelle Droite di Alain de Benoist
andava smarcandosi dallo sterile neofascismo del MSI ufficiale.

Di quei ragazzi, che avevano trovato un leader in Marco Tarchi – oggi
autorevole docente di politologia nell’università di Firenze –, la sinistra
di allora non capì un bel niente: li ritenne soltanto un gruppetto di
estremisti da liquidare semplicemente come “neonazisti”; mentre la destra
ufficiale, al contrario, scoprendosi incapace di rinnovarsi dall’interno li
scaricava come pericolose e inquietanti presenze “deviazioniste”. Tolkien fu
edito nella nostra lingua grazie a un editore di destra, Rusconi, a un fine
talent scout editoriale, il Cattabiani, e a una intelligente traduttrice, la
Alliata: tutti immediatamente isolati dal “cordone sanitario” cinto loro
attorno dalla cultura ufficiale che impedì recensioni e interviste
televisive. Tale il clima di quegli anni: non vengano a raccontarmi il
contrario, fui io stesso testimone di quell’ottusità e di quell’ostracismo.

Ecco perché oggi sono ridicoli i rigurgiti e le pretese d’una paleosinistra
che per lunghi anni ha avuto a disposizione messi ed energie inimmaginabili
e che non ha saputo costruire alcun serio linguaggio culturale. Essa non ha
il diritto di rivendicare né di recuperare un bel niente: Tolkien non le é
stato scippato, per la semplice ragione che non le é mai appartenuto. La
sinistra, a suo tempo, accomunò in una miope e incolta condanna il
“reazionario” Tolkien e i suoi fans che con quattro soldi organizzavano i
Campi Hobbit dove si cantava, si leggeva, si discuteva e si rideva in modo
alternativo rispetto ai suoi superfinanziati festivals: e riuscì a
mobilitare per tale nobile scopo perfino l’ambiente attorno a Norberto
Bobbio. Oggi che si è fatta battere perfino dai bauscia berluskones e dalle
trote leghiste può solo piangere sul suo velleitarismo.

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