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LA SABBIA, ARIDA ED ETERNA
15/07/2014 -
indossai l’elmo, la visiera già calata non lasciava passare la luce, sapevo dove andavo ...
La sabbia, arida ed eterna.
Lasciavo scorrere la sabbia, dalle dita, ed i pensieri, senza ragionare; si vedono, in talune occasioni, cose che, nella fretta di capire, spesso sfuggono all’attenzione e che, invece, posseggono una realtà, una consistenza direi, che lascia il segno. Le osservavo non visto, o, almeno, così credevo; esse mi circondavano, colorate, come disegni di bambini sui vetri della scuola, colori vivi, senza sfumature, senza incertezze o pentimenti.
L’animo godeva di quel senso di pace, quasi timoroso che respirare, con forza, potesse infrangerlo. Ero diventato un cristallo, a più facce, ma di un solo colore: il trasparente angolar della luce bianca; i colori eran fuori, come in un lento vortice di stelle, le emozioni, scomparse, avevano lasciato il posto al briaco dei sogni.
Stesi le dita dei piedi e allungai le caviglie; dovevo rientrare, e in fretta; i colori si affastellarono in un fascio di luce che mi avvolse per un attimo, accarezzandomi, per svanire dietro un comò; mi alzai di scatto come investito da una frustata di aria fredda e misi la testa sotto lo scroscio dell’acqua della doccia, prima che le braccia, e il corpo per intero, si decidessero a fare altrettanto.
Respirai a fondo strofinando la pelle, mentre i programmi della giornata scorrevano puntuali, davanti agli occhi, come i colori di prima, ma con diverse impressioni di piacere. Misi gli abiti, come una corazza, e varcai il cancello; in strada l’inutile stridio dell’angoscia quotidiana si avvicinava velocemente.
Mi ero preso una vacanza, ma era giunta al termine; indossai l’elmo, la visiera già calata non lasciava passare la luce, sapevo dove andavo, automaticamente, ma non vedevo come, o cosa, o chi.
Mi fermai, ma non era previsto, e la folla mi investì trascinandomi lontano; era tutto come sempre, era tutto come prima, tutta aveva il sapore del nulla e del sangue rappreso. Mi guardai le mani; dalle fessure le vedevo articolare le dita, le sentivo dure e impacciate, ma desiderose di muoversi. Io volevo muovermi! Ma non sapevo verso dove. Le chiusi a pugno e mi voltai; era il primo gesto! Finora, e lo capii in quel momento, non mi ero affatto mosso!
Ripensai ai miei Amici, innamorati dell’Oriente, della calma e serafica meditazione indù e dell’abiura, alla lotta, alla polvere dei circhi, alla frequentazione della suburra e delle sue taverne, alle filosofe della Patio, e mi sentii solo! Lo avevo scelto, da bambino ancora, di non disdire me stesso, ma, ora, esattamente, me stesso, dov’era?
La stessa spada che usi per difendere il Padre, può servire ad ucciderlo. Non era stata presunzione, la mia, di volermi staccare dal coro? Non sarà stata presunzione, la mia, di voler credere nella vita? Non sarà la solitudine la punizione del peccato di Osare?
Fiumi bagnano i lidi da cui si parte ogni strada, che conduca al Trivio. Su ciascuno, dei lidi, tramonta il sole. Io ne ero il mentore, e questo mi rendeva inviso! Mai fu Cassandra più vituperata. L’elmo nasconde il dolore, ma le lacrime no, anche se non se n’ha diritto. E che volevo? Cercare anch’io un rifugio, sicuro, con la scusa magari di vedere un dio, e di sfuggire al massacro?
Il pugno, chiuso, crollò sul piano dell’altare, mandandolo in frantumi; alla mia destra s’avvicinò un cavallo possente, alla sinistra una spada; salii a cavallo, ringuainai la spada, al fianco destro, e tornai nella mischia.
Mi penserete folle, ed io, forse, lo sono più di quanto non possa immaginare la vostra fantasia, ma il folle, che ha perso il senno, e l’ha perso nella mischia, era pur in battaglia, lui … ma voi?
Voi, voi, mi giudicate diverso, solo per non riconoscere che siamo fratelli, che nelle nostre vene c’è lo stesso sangue, nel cuore gli stessi ideali, ideali che non sapete di avere perché non sapete di amare.
SAVB, Enzo Li Mandri.
associazione Alessandro Tasca Filangeri di Cutò
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